Jesus' son
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Rifacendosi in parte alla sua esperienza personale, tra momenti lirici e scene irresistibilmente divertenti, Denis Johnson tratteggia il sottosuolo di un'America senza gloria, brulicante di storie che meritano di essere raccontate. E riesce a farci ridere di cuore delle nostre assurde, indispensabili, fragilità. rnrn«Ambizioso, allucinato e perfettamente in equilibrio sull'orlo dell'abisso» - The Independentrnrn«Il Dio a cui voglio credere ha la voce e il senso dell'umorismo di Denis Johnson» - Jonathan Franzerrnrn«I feel just like Jesus' Son», intonava Lou Reed sulle note stridenti di Heroin. Come nella canzone, il protagonista di Jesus' Son ha scelto di annullare la propria vita in un'estasi artificiale. Alcol, droga, farmaci: qualsiasi cosa assicuri una via di fuga. Da cosa, esattamente? Forse da quello che c'è stato prima. O da quello che ci sarà poi. Da un presente fatto di bar sordidi, motel squallidi, macchine sgangherate, periferie anonime, infiniti rettilinei polverosi tra campi desolati. Su questo sfondo allucinato si muovono personaggi guidati da logiche alterate, ma non privi di umanità. Le loro solitudini si sfiorano e, a volte, si intrecciano in un'illusione di salvezza: anche all'inferno capitano attimi di gioia. «Il Dio in cui voglio credere ha la voce e il senso dell'umorismo di Denis Johnson». Immaginate un tizio al bancone di un bar che, reso ciarliero dal drink che ha in mano, attacca bottone e prende a raccontare di «quella volta che...» Magari perde il filo, magari fa confusione, magari apre mille parentesi, ma le sue parole caotiche hanno il sapore della verità. Jesus' Son è cosí: undici racconti che non sono davvero racconti, un romanzo che non è davvero un romanzo, ma la candida confessione inconsapevole di uno che ha, come si suol dire, perso la retta via. Il protagonista delle storie di questo puzzle dai tanti pezzi mancanti è un ragazzo con una dipendenza da alcol e droga che trascorre le giornate bighellonando e arrabattandosi in modo piú o meno legale per rimediare i soldi con cui sballarsi. Di fronte al bisogno, i concetti di giusto e sbagliato, di bene e male, passano in secondo piano. Può rubare, spacciare e tradire, ma conserva una sensibilità che gli fa provare riconoscenza per il gesto di generosità disinteressata di una barista o gli fa cogliere la straziante solitudine di due anziani ricoverati in ospedale. Il mondo in cui si muovono questi personaggi balordi sembrerebbe, ed è, un mondo grigio di rapporti disastrati e problemi destinati a ripresentarsi non appena la coscienza si risveglia. Eppure, oltre la spessa cortina di nebbia si intravede la strada per una vita diversa. La salvezza nell'altro è una chimera, ma è bello illudersi, almeno per un po', in compagnia di qualcuno che ci faccia sentire meno sbagliati.

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