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Confabulazioni
Product description:
Un sorprendente Autoritratto in cui a essere propriamente ritratta non è la persona dello scrittore, ma la linguarnrn«John Berger sembra ispirarsi alla maestria di poeti come Bashō o Buson, per elaborare scritture minime e folgoranti. Generate da barlumi di mondo, da aneddoti di cronaca, da quadri, da fotografie. Abitate da paure, da speranza, da indignazioni. Caratterizzate da un sapiente utilizzo delle parole: prosciugate, depurate e accostate in virtù di significati, di metafore o di ritmi, fino a suggerire "confabulazioni"" e assonanze» - La Lettura-Corriere della Serarnrn«Leggendo e rileggendo queste pagine ci si accorge che, accanto ai temi di un'orfanità che accomuna, di una non appartenenza che avvicina, dell'odio netto e senza eccezioni per il potere, torna più volte, come un motivo, l'idea del ""cavarsela"". Farcela, resistere, sopravvivere, arrivare a sera, come l'Omino disegnato da Chaplin, con tenacia e humor.» - Maria Nadottirnrn«John Berger: uno dei più importanti intellettuali del Novecento.» - la Repubblicarnrn«Scrivo da circa ottant’anni. Da principio lettere, poi poesie e discorsi, più tardi storie, articoli e libri, adesso appunti». È l’incipit di questa raccolta di scritti, l’ultima curata da John Berger, scomparso il 2 gennaio 2017, ed è anche la frase inaugurale del testo che apre il libro, un sorprendente Autoritratto in cui a essere propriamente ritratta non è la persona dello scrittore, ma la lingua.rnLo scrittore è, nelle sue pagine, soltanto colui che, con qualche riga posta su un foglio, lascia che «le parole tornino in punta di piedi dentro la loro creatura-lingua».rnL’idea che la lingua sia «un corpo, una creatura vivente» in cui le parole accolgono perennemente altre parole in una interna e continua confabulazione, mostra quale rapporto John Berger intrattenga con la scrittura e, in generale, con l’universo dei segni. Una relazione con una infinita, misteriosa potenzialità che attraversa tutti i linguaggi, quelli articolati, ma anche quelli inarticolati; quelli verbali, ma anche quelli non-verbali, gli idiomi parlati dall’insieme degli esseri viventi.rnIl disegno, che puntualmente accompagna le parole nei testi di Berger, non è affatto, da questo punto di vista, un ornamento della scrittura, ma la forma forse più alta di fedeltà al corpo della lingua così intesa.rnCome scrive Maria Nadotti, nella postfazione in cui ripercorre il suo lungo sodalizio con l’autore, «il disegno, attività prediletta, probabilmente vocazionale, di JB, è forse proprio la decifrazione paziente – acustica, olfattiva, tattile, oltre che visiva – di questi segni destinati e non-destinati a noi. Lì, in sé, a portata di mano e tuttavia indipendenti da noi, una foglia, un campo, il movimento ondivago dell’erba ci rimandano a una misteriosa, potenziale unità»."
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lafeltrinelli.it
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