John Henry Newman. Identità, alterità, persona
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In un contesto antropologico che Michel Foucault definisce come "il vuoto dell'uomo scomparso", l'idea di persona di John Henry Newman (1801-1890) è il candidato migliore per rispondere alla dissoluzione dell'io e all'individualismo contemporanei. In una serrata dialettica all'interno della coscienza, l'io rinuncia a porre se stesso come fondamento: riconoscendosi come persona, riconosce anche l'"altro" che gli sta di fronte e l'"Altro" che dimora dentro di sé. In questa "grammatica del riconoscimento", Newman si rivela naturale interlocutore - oltre che di Locke, Hume e Smith - della fenomenologia di Edmund Husserl ed Edith Stein, e della filosofia ermeneutica di Hans-Georg Gadamer e Paul Ricoeur. Il suo pensiero si radica in modo originalissimo nel medesimo humus, la riflessione empiristica sulla coscienza di sé e del mondo, e l'enfasi romantica sull'esperienza vissuta prima che sulla sua mediazione intellettuale. Nel contempo, le supera entrambe, rivelandosi capace di denunciare i limiti dell'invulnerabilità antropocentrica e di andare al di là della frammentazione dell'umano e della sua perdita di senso, effetto dell'incapacità delle antropologie moderne e postmoderne di dare espressione all'esigenza di unità e di integralità che l'uomo nutre verso se stesso.

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