Il dado è tratto. Cesare e la resa di Roma
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Nel gennaio 49 a.C., Cesare, conquistatore delle Gallie,rnalla testa di alcune coorti legionarie varcò il Rubicone,rnpronunziando una celebre frase. Nello stesso giorno occupòrnRimini, presidio strategico della terra Italia. Si spinse poirnverso sud, minacciando la stessa Roma, cuore di una resrnpublica ormai egemone sul Mediterraneo.rnPompeo, incaricato di fermarlo, rispose con una mossarnmeno celebre ma altrettanto fatidica. Ordinò all’interarnclasse politica di abbandonare la città e di seguirlo, perrncontrattaccare dal meridione della Penisola o, addirittura,rndai Balcani.rnIl panico fu inenarrabile. Mai i romani si erano trovati dirnfronte a una situazione del genere. L’Urbe, nella sua secolarernstoria, era stata sempre difesa, con alterne fortune, da nemicirnesterni e interni. A Cesare essa fu invece abbandonata,rnassieme al suo ricchissimo tesoro.rnChe cosa avvenne in quei terribili giorni? Come si giunserna una situazione tanto sconcertante?rnRoma era davvero indifendibile? Qualirnfurono le conseguenze della fugarnpompeiana?rnPer rispondere occorre ricostruirernla temperie politica e istituzionalernche aveva trasformato la gloriosa resrnpublica in un sistema logoro e corrotto,rnnel quale ormai troppi non credevanornpiù, e che Cesare riuscì a piegare conrnrapidità impressionante.

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