Io, l'Inter e il mio calcio mancino
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Per la prima volta Mario Corso, pur con la proverbiale timidezza, si racconta a cuore aperto, con aneddoti e confessioni inedite. Una veloce escursione nella sua vita privata, l'infanzia e la famiglia nel dopoguerra a San Michele Extra ("l'ingrata San Michele"), l'acquisto a 17 anni non ancora compiuti da parte dell'Inter, dove in brevissimo tempo si impone come protagonista indiscusso della Grande Inter euro-mondiale. La scarsa simpatia nei suoi confronti del Mago Helenio Herrera, che ogni anno ne chiedeva la cessione, l'affettuosa ammirazione del presidente Angelo Moratti, la stima da parte dell'immenso Pelé che lo voleva al Santos, il tribolato rapporto con la Nazionale (con la clamorosa ribellione al ct Fabbri) e la lunga, e ingiusta, squalifica internazionale per il fattaccio contro il Borussia Moenchengladbach, il mesto esilio al Genoa (nonostante l'insistenza di Boniperti per averlo alla Juve) dove finisce la carriera per un triplice infortunio alla stessa gamba. Poi allenatore e scopritore di talenti in molteplici squadre, fino a quando Massimo Moratti, che sta progettando la sfida di una nuova gloria nerazzurra, lo rivuole accanto a sé. "Piede sinistro di Dio", "Mandrake", "Paganini", geniale e un po' indolente, Mario Corso - i calzettoni arrotolati sulle caviglie in segno di omaggio al suo idolo Sivori sapeva inventare dribbling irriverenti e traiettorie impossibili (famosa la sua punizione "a foglia morta"), gol e assist straordinari.
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