La tradizione signorile nella filosofia americana e altri saggi
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«Noi stimiamo gli esseri umani per la loro mente, con i suoi scopi, la sua qualità e la sua natura, in quanto solo in virtù della mente esistiamo come esseri umani e siamo qualcosa di più che semplici accumulatori di energia materiale. Siamo perciò sinceramente umani. Siamo soddisfatti di avere una vita mentale.»George Santayana occupa una posizione singolare nel panorama filosofico del Novecento. È stato annoverato tra i filosofi classici americani e al tempo stesso etichettato come un filosofo avulso dal mondo, a cui guardava con un atteggiamento di profondo distacco. Ciò non gli ha impedito di elaborare un'analisi carica di pungente ironia nei confronti del mondo americano, bene accolta, fra l'altro, dalla sua punta più avanzata. La sua particolare posizione di insider/outsider lo ha dotato di uno sguardo penetrante su quella che egli, con una fortunata espressione, ha definito "la tradizione signorile" della filosofia americana. Al centro della sua visione emerge un dualismo insanabile tra due anime del mondo americano: una che trova espressione nella religione, nella morale, nella filosofia accademica e nella letteratura, caratterizzata dalla fedeltà alle tradizioni e dal rifiuto di tutto ciò che si allontana da esse; l'altra, all'opposto, caratterizzata dall'apertura verso il nuovo e dalla costante ricerca della crescita economica. Nei confronti di entrambe Santayana esprime una critica serrata: contro la prima per il suo soffocante atteggiamento di censura nei confronti del nuovo e del diverso, contro la seconda per il suo smaccato utilitarismo e la sua limitatezza culturale. Ne deriva una critica della modernità di grande interesse per il dibattito contemporaneo sul tema del controllo della libertà individuale, in quanto esso procede di pari passo con l'incentivazione del progresso e il miglioramento delle condizioni pratiche della vita nel mondo contemporaneo.

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