Mollare non è una cosa da deboli. Perché lasciare un lavoro o una...
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"La rinuncia, nella nostra società, è diventata sinonimo di sconfitta, fallimento, è «l’ultimo nascondiglio del perdente». Solo recentemente la pandemia ci ha aiutato ad aprire gli occhi su ciò che non andava nelle nostre vite: relazioni non sane, lavori poco gratificanti, superiori dittatoriali ed egoriferiti. Eppure la rinuncia rimane un’onta: «non esistono rinunciatari seriali su LinkedIn». rnMa quand’è che le cose hanno preso questa piega? Quand’è che la resilienza è diventata la qualità che tutti dovremmo augurarci di possedere? Julia Keller, già vincitrice del Premio Pulitzer per il miglior articolo giornalistico, ci aggiorna sulle ultime scoperte della scienza riguardo alla capacità degli esseri umani di cambiare abitudini e comportamenti, aiutandoci a comprendere quando e dove ha cominciato ad affermarsi l’idea della perseveranza a tutti i costi. E lo fa raccontando le scelte di chi è riuscito per davvero a lasciare un lavoro o una relazione insoddisfacente: «le loro storie», scrive, «possono aiutarci a respingere il pensiero unico che domina questo campo (e i consigli perentori di troppi libri di auto-aiuto), secondo cui la perseveranza è una strategia vincente e infallibile», un valore che negli anni è stato «coltivato ad arte, e ci viene venduto come un qualsiasi bene di consumo». rnIl mondo, però, la realtà in cui siamo tutti quotidianamente immersi, sembra suggerirci qualcosa di diverso, che «il segreto di una vita felice e produttiva non è nelle qualità che normalmente ci vengono inculcate – caparbietà e risolutezza – ma nella flessibilità, nella leggerezza che deriva dalla capacità di abbandonare i pesi inutili, nel preambolo di un coraggioso salto nel futuro, nella disponibilità ad accogliere le novità a braccia aperte. Nel sapere quando è ora di dire basta». "

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