I figli del vulcano. Perché rivoluzione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco
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Questo è un libro di racconti guerriglieri narrati dalla viva voce dei protagonisti. La ribellione come metafora del fuoco, la lotta armata come storia collettiva fatta di tante storie individuali. L'autore mostra le vene aperte dell'America Latina. Ridona voce, memoria e grammatica a chi ha messo armi e cuore al servizio della giustizia. Immagina le pagine come tante piccole eruzioni che trasformano le idee in scintille e le ingiustizie in furore incendiario. L'epicentro da cui si irradiano gli avvenimenti è il Guatemala, paese magico e surreale, per poi attraversare come una porta dimensionale paesi come Cuba, El Salvador, Haiti, Messico, Guyana e Nicaragua. Il genere dell'opera è a metà tra il romanzo storico e l'autobiografia di una rivoluzione. Ogni capitolo è un libro nel libro. I vari paragrafi sono collegati l'uno all'altro da un filo rosso fatto di gesta rivoluzionarie, spesso declinate al femminile. Lo stile è evocativo. La narrazione immediata e il linguaggio fluido e comunicativo. Il tempo verbale al presente, con frequenti salti temporali nel passato prossimo e remoto, aiuta l'autore a raccontare gli eventi in modo più diretto e con una struttura più simile ai racconti orali. Il libro narra degli intollerabili soprusi subiti dalle masse popolari, dalle popolazioni indigene e della risposta armata che ha innescato uno straordinario laboratorio di lotte sociali che hanno incendiato l'America Latina portando a innovative forme rivoluzionarie di socialismo e di autogoverno del territorio. Un testo che non vuole essere un saggio di analisi politica né un quadretto agiografico di esotismo rivoluzionario, ma un atto deliberato di amore e gratitudine nei confronti di chi ha tentato l'assalto al cielo per divenire l'evocazione stessa del fuoco.

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